Nato nel 1924 con il nome di Seiichiro Watanabe, Nyogakuan era un ingegnere, figlio di Saburo, che oggi verrebbe definito un re dell’acciaio, ma anche appassionato di bonsai, di cui possedeva una importante collezione. Il figlio Seiichiro ne seguì le orme, appassionandosi però fin da giovane ai suiseki, creando nel tempo una imponente collezione denominata in seguito con il suo nome d’arte, “Nyogakuan“, che significa “Eremo del pensiero”.
Maggio 1966 : ogni domenica mattina Nyogakuan annaffiava le sue pietre
Già nel 1962, quindi a 38 anni, Nyogakuan scriveva: “Il riverbero è una caratteristica unica dell’arte orientale rispetto all’arte occidentale. E’ anche una caratteristica del suiseki in cui il valore estetico è espresso nello spazio sconfinato che circonda la pietra, piuttosto che nell’aspetto della pietra. Ciò rende possibile esplorare la propria immaginazione nella vasta natura solo suggerita da una pietra”. “Reverberation is a characteristic unique to Oriental art in comparison with Western art. It is also a feature of suiseki in which aesthetic value is expressed in the boundless space surrounding the stone rather than in the appearance of the stone. This makes it possible to explore one’s imagination into the vast natue suggested by a natural stone”. (from preface, pag. 10)
In una sola frase, tratta dalla prefazione del suo libro, trovo molte parole rimandano a concetti a me cari, che non perdo mai occasione di sottolineare: riverbero come sottile emanazione di qualcosa che la pietra suggerisce soltanto, spazio vuoto che sollecita a completare l’Incompleto.
Moltissime le pietre fantastiche di questa collezione, che almeno si possono ammirare nel libro “Suiseki : an art created by nature : the Nyogakuan collection of Japanese viewing stones“. Sarebbe veramente difficile selezionare la più bella, ma non è questo l’importante, secondo me. Guardare queste pietre e gli altri oggetti della collezione Nyogakuan (suiban, doban, tavoli, tenpai) dovrebbe essere fonte di comprensione: di quello che facciamo e del perché lo facciamo, come se fosse una fonte di acqua purissima. Dedicherò, con il tempo, alcuni post ad alcuni di questi suiseki.
Nyogakuan morirà nel 2001. Il libro sulla sua collezione è stato fortemente voluto da suo figlio Sen-En-Kyo, la cui nascita nel 1952 fu commemorata dal padre con l’acquisto di un suiseki, una pietra del fiume Kamo (Kamo gawa ishi) chiamata “La montagna dei cinque tesori”, e quando il figlio di Sen-en-Kyo ha compiuto 20 anni, suo padre a sua volta acquistò per lui una pietra del fiume Saji (Saji gawa ishi) chiamata “Shoto Bangaku“.
Da un punto di vista divulgativo, è un testo molto importante, purtroppo ormai molto raro e costoso. Innanzitutto è scritto anche in inglese, quindi di maggiore comprensione rispetto ad un testo in giapponese. Inoltre, le immagini sono ottimamente realizzate, nitide e professionali, e permettono di apprezzare la bellezza delle pietre ma anche i più piccoli particolari, come la texture o il colore. Infine, si fa apprezzare per la ricchezza di informazioni sulla petrologia, in quanto le pietre sono suddivise in base al luogo di origine e se ne descrive dettagliatamente la composizione geologica e le modalità di formazione. Questo approccio viene definito ‘scientifico’ dall’autore Sen-En-Kyo, il figlio di Nyogakuan, ma non mancano informazioni storiche e aneddoti su come Nyogakuan sia entrato in possesso di alcuni suiseki, come le otto pietre provenienti dalla famosa collezione Iwasaki, la famiglia fondatrice del marchio Mitsubishi, riconoscibili per i due numeri vergati sul fondo delle pietre, uno in rosso ed uno in bianco, dal significato non ancora del tutto chiarito. Le due copertine della pubblicazione sono dedicate a due di questi otto suiseki della collezione Iwasaki.
Dopo questo primo volume, Sen-En-Kyo ne ha pubblicato nel 2007 un secondo (Suiseki-II, An Art created by Nature; La collezione Sen-En-Kyo di pietre da osservazione giapponesi), dedicato questa volta alla sua personale collezione, che non può non contemplare alcuni suiseki di suo padre Nyogakuan. Anche questa pubblicazione ricalca nello stile grafico e nei contenuti il precedente, entrambi i volumi sono fonti preziose di informazioni storiche, sulle pietre e sulle persone del mondo del suiseki nel Giappone moderno. La copertina di questo secondo volume è dedicata alla famosa pietra Nantai San, “Monte Nantai”, una pietra del fiume Seta che ho avuto la fortuna di vedere di persona esposta alla sesta edizione della Japan Suiseki Exibition, una pietra così eccezionale da sembrare irreale.
Molte delle pietre descritte non fanno più parte della famiglia. Anche Nantai San adesso appartiene ad altri occhi, destino comune di molte pietre, destinate a sopravviverci.
La copertina anteriore.
E’ una pietra del fiume Kamo, il nome poetico, Ugo non Sansui, significa “Paesaggio dopo la pioggia”.
Kamogawa Yase Sudachi-Maguro-ishi
La copertina posteriore.
E’ dedicata ad un’altra delle otto pietre della collezione Iwasaki. E’ una pieta del fiume Kamo, che evoca onde ruggenti che si infrangono contro la costa. Il nome poetico Araiso, “Scogliera”, è spesso usato per i suiseki. Il vassoio è un antico bacino rettangolare in celadon, con un motivo di peonie.
Una pietra, fra le tante : Takachiho
Storie, pietre, generazioni, passato, futuro. Uno dei suiseki che mi ha colpito è una Kamuikotan, chiamata “Takachiho“, un monte nella regione del Kyushu legato a molte leggende sugli dei creatori del Giappone. Il suiseki, che misura 37 x 19 X 9, ha anche un kiribako spettacolare, che riporta parte della storia di questa pietra. Essa fu ‘vista’ il 5 aprile del 1943 dall’Imperatore Hirohito. Fu poi esibita nel 1986 nel 12° Summit del G7 a Tokyo, e per il suo aspetto che infonde serenità si auspica possa ancora essere ammirata in una conferenza internazionale sulla pace e cooperazione nel mondo. Solo uno dei tanti tesori della collezione Nyogakuan.
VOLUME I
水石 : 自然の芸術 : 如学庵コレクション / 監修吉村金一 ; 編潜淵居
Suiseki : shizen no geijutsu nyogakuan korekushon Suiseki : an art created by nature ; the Nyogakuan Collection of Japanese viewing stones 199 p. : col. 23 x 31 cm
VOLUME II
水石 : 自然の芸術 : 潜淵居コレクション / 監修吉村金一 ; 編潜淵居
Suiseki : shizen no geijutsu sen’enkyokorekushon Suiseki-II : an art created by nature ; the Sen-En-Kyo Collection of Japanese viewing stones 219 p. : col. 23 x 31 cm
I suiseki in un fumetto giapponese – Terza e ultima parte Quattro passi nel fumetto “L’uomo senza talento” di Yoshiharu Tsuge.
Riflessioni sul suiseki
Già nel primo capitolo troviamo alcuni dialoghi interessanti che riguardano il suiseki. Ad un altro bottegaio sul fiume, che gli esprime i suoi dubbi sulla opportunità di vendere con successo pietre che si possono anche raccogliere solo chinandosi, Sukegawa spiega che non è proprio la stessa cosa.
“Non vorrei fare il guastafeste, ma sarà difficile per te vendere queste pietre. Perché qualcuno dovrebbe comprarle quando può raccoglierle per conto proprio?” “Non è proprio così. Quella pietra ti sembra uguale a questa?” “Che cosa cambia?” “La forma, l’essenza. La pietra più bella riesce a descrivere un’intera montagna, vallate… vento e nuvole in cielo, persino tutto l’Universo.” “Eh eh eh… capisco…però, amico, sei nel posto sbagliato.”
Già, il posto sbagliato. Io stessa cerco ancora il mio posto nel mondo del suiseki, ma questa è un’altra storia. Una pietra non è sempre un suiseki. Deve avere alcune caratteristiche e anche in questo caso una buona pietra appena raccolta è solo una giovane pietra, o araishi. Essa andrà coltivata, apprezzata, vissuta, magari anche venduta, deve avere la forma ma anche l’essenza. Non basta quindi una mera somiglianza a fare di una pietra un suiseki: Sukegawa ne è consapevole e le sue pietre hanno il cartellino con il prezzo ma anche il nome poetico.
Il secondo capitolo, “L’uomo senza talento”, è un flashback che spiega come sia iniziata l’idea di vendere pietre: nella libreria dell’amico Yamai, Sukegawa vede casualmente una vecchia rivista “L’hobby delle pietre” e scopre così che negli anni ’50 esisteva una comunità di appassionati molto numerosa e vendere pietre come oggetti d’arte era una pratica comune. Ecco la svolta tanto cercata!
Non potendo aprire un negozio in città per mancanza di soldi, apre una bancarella sul fiume… ma nessuno compra le sue pietre, anche perché, e Sukegawa ne è consapevole, il fiume Tama non regala le pietre importanti del libro, come le pietre crisantemo o le pietre cascata.
Ma in una rivista pubblicata mensilmente scopre un’altra possibilità: a breve si svolgerà a Tokyo un’asta di pietre, promossa dall’ Associazione Amanti delle Pietre, nel quartiere di Yoyogi. Il nostro amico si precipita e fa conoscenza con il presidente, Sekiun Ishiyama, con il suo discepolo Karuishi Yamakawa e con la moglie un po’ lasciva del presidente.
“Ishiyama mi fece una vera e propria lezione sulle pietre” e devo dire che il vecchio presidente conosceva a fondo quest’arte. La suddivisione in quattro categorie infatti è citata correttamente, così come la differenza tra bonseki e suiseki: “mentre nel bonseki le pietre contribuiscono alla creazione di interi paesaggi interagendo con altri elementi, nel suiseki tutto questo deve essere presente in un’unica pietra”.
Nel disegno del bonseki vediamo un bonsai ma anche una lanterna, un ponticello, ghiaia a rappresentare un fiume, un piccolo animale, una capanna.
E ancora si legge come un suiseki è naturale, mentre nel bonseki le pietre possono essere modificate al fine di creare un paesaggio complesso, ma “la mano dell’uomo non riuscirà mai ad eguagliare la bellezza partorita dalla Natura”. Sukegawa prova però ad affermare timidamente che “è il nostro senso estetico a discernere le pietre più belle da quelle senz’anima”, dando all’uomo un ruolo diverso da quello di semplice fruitore ma viene subito azzittito.
Quindi, secondo Tsuge-Sukegawa, l’arte di queste pietre sta nell’oggetto stesso ma anche nello sguardo di chi le guarda, senza toccarle, uno sguardo che da solo crea e rivela la bellezza, il riconoscimento di qualcosa che già è di per sé, come nel senso profondo del già sopra citato termine Shizen.
Dalla prefazione di un libro giapponese degli anni ’60:
«Sono abbastanza un profano nell’apprezzamento del Suiseki, ma quando vedo la collezione di Mr. Onuki, non posso che rimanere affascinato dalla bellezza delle pietre che la compongono. Queste pietre potevano dormire per sempre sotto le ombre delle rocce in alcune vallate se non fossero stati prese dal Sig Onuki. Le pietre sono nate di nuovo al mondo della bellezza quando sono stati scelte dal Sig Onuki.
L’incontro del Sig Onuki con le sue pietre non sembra essere accaduto per mero caso. Quelle pietre erano state incise e lucidate da Dio per lunghi anni da tempo immemorabile e nascoste nel silenzio fino al momento in cui a qualcuno è successo di trovare la vera bellezza in loro.Non vi sembra che Dio ha apprezzato il profondo amore di Mr.Onuki per le pietre così tanto da affidarle alla sua custodia?»
Mi fermo qui, temendo una sonora ‘risata’ dal Sol Levante ad alleggerire le mie dissertazioni “quasi colte”. Tornando al fumetto, Sukegawa riuscirà ad iscriversi all’asta, aspetterà con ansia quel giorno, e riflette, mentre urina nel fiume: “Le pietre del Tama non compaiono in nessun libro. Non so quanto valgono. È strano, ma non ne ho mai vista una nei negozi specializzati ai grandi magazzini. Sono come me… non le nota nessuno».
A ben pensarci, condizione invidiabile, quella delle pietre, dalle molteplici forme e dimensioni, che mai devono interrogarsi sul perché di sé e della vita, che semplicemente affermano la propria esistenza con la propria presenza: la pietra è ovunque, non è mai messa in dubbio, non è mai fuori luogo, e al contempo è sempre superflua, inutile, improduttiva, bellissima. Beh, maestro, non è vero, le pietre del fiume Tama sono apprezzate e ricercate.
Va da sé che l’esperienza della vendita sarà fallimentare. Sukegawa sarà obbligato a pagare l’iscrizione e la quota di ingresso per tutta la famiglia, si renderà conto che la base d’asta di partenza è irrisoria e comunque non venderà nessuna delle sue pietre. La moglie impietosamente gli presenterà i conti: “… diciassettemila yen svaniti nel nulla…odio queste dannate pietre!”
Il trailer del film.
Di seguito, per concludere con un sorriso questa veloce cavalcata nell’opera “L’uomo senza talento”, ho scovato il trailer del film del 1991, con i sottotitoli in inglese.
2017 Canicola Edizioni, collana Jason Molina Traduzione di Vincenzo Filosa 224 pagine, b/n, cm 15×21 ISBN 9788899524128 Per l’edizione italiana copyright 2017 canicola / yoshiharu tsuge
Katachi ( 形 ) significa letteralmente forma. Mi interessa approfondire il concetto perché, per gli amanti del suiseki, è una delle sue caratteristiche principali, forse il punto di partenza. Una pietra, per essere definita un suiseki, deve avere una forma e rappresentare, in piccolo, un elemento che fa parte del mondo della Natura: un paesaggio, un essere vivente animale o vegetale, un essere soprannaturale. Quindi, anche i testi di riferimento affermano che katachi (1), cioè la sua forma, è una delle caratteristiche da esaminare in un buon suiseki. Infatti, sulla forma si basa uno dei sistemi di classificazione dei suiseki.
Hokkaido, Kamuikotan ishi (神居古潭石) – Collezione Daniela Schifano, da Yoshida Bonseki
Cosa stiamo vedendo ?
Stiamo vedendo una pietra, un frammento di roccia, quindi un oggetto con una sua fisicità, una forma, un aspetto, in cui individuare una somiglianza, cioè una possibile relazione tra due entità: il somigliante ed il somigliato. Ma sarebbe una riduzione concettuale che fa torto a migliaia di anni di tradizioni orientali nelle arti e nel pensiero.
Il pittore e teorico cinese Jing Hao (855-915) ha scritto: “La somiglianza si impossessa della forma ma lascia scappare lo spirito. La verità coglie, tutt’insieme, lo spirito e la materia”
Traspare e motiva una caratteristica tutta giapponese: l’affascinante identità tra forma e sostanza, tra significante e significato. Potrei citare molti esempi: il sistema di scrittura basato sui kanji, la cerimonia del tè, le affascinanti sekimori-ishi.
“La grande immagine non ha forma”: il paesaggio secondo la tradizione pittorica cinese
Mario Porro così riassume alcuni brani di nostro interesse del terzo capitolo “Di un paesaggio da vivere” tratti dal libro “Vivere di paesaggio”, di Francois Jullien:
“Un passo di Su Dongpo (XI secolo), uno dei primi pittori di paesaggio, esprime con chiarezza l’emancipazione dall’obbligo infantile della rassomiglianza: “gli uomini, animali, case, mobili hanno una forma costante. Invece montagne e rocce, bambù e alberi, increspature dell’acqua, nebbie e nubi non hanno una forma costante, ma hanno una natura interiore costante”.
Di questo secondo gruppo, composto da elementi che hanno natura interiore (ma non forma) costante, mi ha colpito l’ordine in cui essi sono elencati: dalle montagne, nella loro variazione di grana e di vegetazione (le rocce, i bambù, gli alberi) alle acque nelle loro manifestazioni in mutazione (le onde, i vapori, le nuvole). In sintesi, dalle montagne alle nuvole… dove le montagne, in Cina prima e in Giappone successivamente, sono considerate “le radici delle nuvole“. Possiedo un suiseki con questo nome poetico… ma questo è un altro post.
“Le rocce non hanno più forma imposta di quanto non ne abbiano le nuvole: una roccia o una nuvola ha qualsiasi forma e quello che il pittore dipinge è ciò grazie a cui la roccia o la nuvola raggiunge la coerenza interna, ciò che la promuove in roccia o in nuvola. Ora, le montagne e le acque non conoscono forma imposta, più di quanto non ne conoscano le rocce e le nuvole. Ma se ne seguiamo le curve e le svolte, i contorni sinuosi in trasformazione continua, allora vi vedremo l’espressione privilegiata di questa vitalità che non si esaurisce.”
Ecco il “paesaggio” cinese (shan shui 山水), che muove dall’accostamento montagna-acqua, mente il suiseki giapponese è 水石 (acqua e pietra). In entrambi i casi una cosa è messa in relazione al suo opposto, non per escludersi ma per affermare la dualità del mondo.
Continua Mario Porro con lucida sintesi:
“L’arte dell’Occidente ha seguito la “piega” ontologica della filosofia, ha cercato, attraverso la consistenza della forma visibile (morphé), di dare espressione alla forma intelligibile (eidos) che costituisce l’essenza dell’oggetto rappresentato. In Cina, non si cerca la rappresentazione, non vi è idea da cogliere; il pittore non è chiamato a riprodurre l’involucro esterno delle cose ma a esprimerne la coerenza interna (chang li), in cui si manifesta la regolazione del processo del mondo. L’alternanza delle fasi yin-yang scandisce il respiro che anima l’universo intero, grazie al soffio-energia (qi) che si rinnova di continuo nelle sue variazioni. Il paesaggio non è una parte ritagliata dal tutto, ma è già il tutto perché in esso è attiva l’operazione del mondo nella sua interezza.”
La forma del nostro suiseki, fatto di pietra e acqua, è diventata solo un veicolo, di uno spirito, o energia, o soffio vitale, o di un tutto.
“Lo sguardo si lascia assorbire, passeggia nel paesaggio, lo scopre da diverse angolazioni, non è attivato dagli stimoli ottici ma dalle forze che agiscono all’interno della natura.”
Molti anni fa mi sforzai di descrivere, quasi a tentoni, quello che per me era un suiseki: “… un buon suiseki non ha una forma spettacolare, ma mostra la presenza di una particolare atmosfera, è pieno di risonanze, vagamente richiama una immagine in esso. Non è sufficiente quindi che abbia una buona forma, ma dovrebbe emanare una visione, suggerire un respiro, un’atmosfera, un particolare stato d’animo, l’aria di qualcosa, dovrebbe essere incompleto e per questo richiederà un’attività partecipativa da parte dell’osservatore.”
E meglio di me Mario Porro, che ringrazio, giunge alle stesse conclusioni:
“Un paesaggio è come un archetto, diceva Stendhal, fa risuonare qualcosa nell’interiorità, non tanto un suono distinto quanto una vibrazione, una risonanza che fa ritrovare l’accordo, l’intesa di fondo fra l’io e il mondo. Nel respiro che anima il paesaggio, troviamo di che “nutrire la vita”.
Forse è per questo che fare suiseki mi fa star bene.
Riferimenti.
Ringrazio la prof. Susanna Marino docente di lingua e Istituzioni di Cultura giapponese presso l’Università Bicocca di Milano -Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione – e presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Varese
Definizione di katachi 形 (forma, figura, foggia); (fattezze, forme, lineamenti) 形 la parte di sinistra indica una cornice squadrata (una sorta di graticcio, tipo finestra tradizionale) e i tre segni a destra sintetizzano l’idea di ‘disegno’, decorazione, pattern. Frasi d’esempio: avere una forma strana, avere delle belle gambe; celebrare qualcosa senza formalità; sotto forma di qualcosa
Definizione di kata 型 (modello, stampo, forma, foggia); (dimensione, grandezza, formato); (tipo, modello, stile, forma) 型 tre sono le parti che compongono questo ideogramma: a sinistra una cornice squadrata, a destra una lama e sotto il terreno. Creare una cornice di terra (argilla), cioè creare uno ‘stampo, un modello’. Frasi d’esempio: modellare la creta; persona che agisce contro le convenzioni; espressione stereotipata
Definizione di sugata 姿 (figura, forma, sagoma, profilo, contorno). Si usa sia per persona che per le cose (aspetto, apparenza, sembianze). 姿 la parte di sopra significa ‘seguente, successivo’, mentre la parte di sotto significa ‘donna’. Alcuni studiosi sostengono che la parte superiore dell’ideogramma sintetizzi una persona in piedi con la bocca aperta (riferendosi a qualcuno stupito da una bellezza muliebre). Per estensione, quindi, l’ideogramma indica una bella figura e più generalmente figura.Nell’ambito del suiseki, il termine sugata identifica una figura umanao deificata. Frasi d’esempio: avere una bella figura, una bella linea, dipingere il ritratto di qualcuno; poveramente vestito; travestito da donna; profilo armonioso del Monte Fuji.
Curiosità.
La The International Society for the Interdisciplinary Study of Symmetry dedica una pagina al concetto di katachi, nelle sue implicazioni più moderne. Esiste infatti una vivace comunità di ricercatori giapponesi, che studia le implicazioni tra forma, funzione e significato, al fine di ottimizzare ad esempio i dispositivi user-friendly, come le interfacce avanzate per computer, o nuove soluzioni di biologia molecolare. La “Katachi Society” fa suo proprio il temine katachi, composto di “kata” (modello) e “chi” (potere magico), a cui attribuisce in senso allargato il significato di “forma completa” o “forma che racconta una storia attraente“. Per questa associazione di ricercatori scientifici, la forma ha antiche radici culturali, che potrebbero essere spiegate più chiaramente attraverso due esempi: la cerimonia del tè, dove il maestro combina materiali, significati e stati d’animo al solo scopo di servire un buon tè, e i kanji, un sistema di scrittura dove il carattere, o meglio il logogramma, ha una forma fisica, un valore orale ed un valore semantico.
Il concetto di mitate è intrinseco nella cultura giapponese, divenendo un modo di pensare che è ancora oggi pietra di fondamento di alcune correnti artistiche e stilistiche, non di meno elemento fondamentale per la conoscenza e la comprensione del giardino kare-sansui (枯山水) – il Paesaggio secco – in cui gli elementi nello spazio non si limitano ad una funzione rappresentativa del paesaggio naturale, vanno oltre, stimolano un trascendimento del dato sensibile per cogliere l’idea stessa della natura e del cosmo. (Komiyama, 1987).
– Ciò che vediamo dipende da noi stessi –
La parola mitate (見立て), che letteralmente significa “ vedere come” prende il significato di “metafora” (Filippucci, 2006). Si tratta di un principio in cui una certa realtà fisica è riprodotta in miniatura o in grande scala, come il bonsai mostra in modo chiaro, o il far riferimento a una montagna con una piccola pietra o l’evocare una foresta con una semplice macchia di muschio, o come dirà Plinio il Vecchio in una lettera al fratello, il sentire sgorgare una sorgente attraverso i rami di una capelvenere.
Tutto è reso possibile dalla libertà che concediamo all’immaginazione e alla mente quando siamo in giardino.
In origine la parola mitate significava guardare con i propri occhi per fare una scelta, ovvero descrivere con un paragone qualcosa usandone un’altra del tutto differente.
“ Senza che si levi il più piccolo granello di polvere, svettano le montagne. Senza che una goccia cada, i ruscelli si riversano a valle ”.
( Musō Soseki Kokushi, 1275-1351)
Prendo in prestito questa bellissima poesia scritta in cinese, dal titolo “Poesia sul giardino secco” del Maestro zen e costruttore di giardini Musō Soseki Kokushi, conosciuto come il creatore dei giardini del Saihō-ji (西芳寺) e del Tenryu-ji, in cui il concetto di giardino trova espressione nella sua vera essenza, che si cela dietro alla reale rappresentazione: il flusso impetuoso del torrente che prende vita da una cascata, scende con fragore attraverso imponenti montagne percorrendo valli incassate in un paesaggio roccioso interrotto qua e là da alberi battuti dal vento. Continua la sua corsa il torrente, generando rapide che oltrepassano una diga, poi all’improvviso cambia scenario: il torrente è diventato un fiume, il corso si fa più lento allargandosi in una vasta pianura in cui si innalzano delle colline; una barca, senza fretta, segue la corrente d’acqua che scorre lentamente. E, finita la sua corsa, il grande fiume va ad immettersi in un oceano senza fine.
E’ il giardino del Daisenin dove caratteristica saliente è l’abbondanza di pietre, se ne contano circa un centinaio in un’area di circa settanta metri quadrati. Ed il suo carattere pittorico è accentuato da pietre figurative che rappresentano il ponte e la barca.
Il mitate dunque significa anche saper cogliere l’illuminazione che si cela dietro alla semplicità delle cose così come appaiono, e che non sarebbe possibile esprimere altrimenti. E’ una scelta, e noi la compiamo con i nostri occhi per svelare la vera realtà, e accende in noi la fantasia di poter immaginare il vero significato di ciò che effettivamente abbiamo davanti a noi.
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