Non c’è aspetto che non sia (anche) concezione.
Katachi ( 形 ) significa letteralmente forma. Mi interessa approfondire il concetto perché, per gli amanti del suiseki, è una delle sue caratteristiche principali, forse il punto di partenza. Una pietra, per essere definita un suiseki, deve avere una forma e rappresentare, in piccolo, un elemento che fa parte del mondo della Natura: un paesaggio, un essere vivente animale o vegetale, un essere soprannaturale.
Quindi, anche i testi di riferimento affermano che katachi (1), cioè la sua forma, è una delle caratteristiche da esaminare in un buon suiseki. Infatti, sulla forma si basa uno dei sistemi di classificazione dei suiseki.
Hokkaido, Kamuikotan ishi (神居古潭石) – Collezione Daniela Schifano, da Yoshida Bonseki
Cosa stiamo vedendo ?
Stiamo vedendo una pietra, un frammento di roccia, quindi un oggetto con una sua fisicità, una forma, un aspetto, in cui individuare una somiglianza, cioè una possibile relazione tra due entità: il somigliante ed il somigliato.
Ma sarebbe una riduzione concettuale che fa torto a migliaia di anni di tradizioni orientali nelle arti e nel pensiero.
Il pittore e teorico cinese Jing Hao (855-915) ha scritto:
“La somiglianza si impossessa della forma ma lascia scappare lo spirito.
La verità coglie, tutt’insieme, lo spirito e la materia”
Traspare e motiva una caratteristica tutta giapponese: l’affascinante identità tra forma e sostanza, tra significante e significato. Potrei citare molti esempi: il sistema di scrittura basato sui kanji, la cerimonia del tè, le affascinanti sekimori-ishi.
“La grande immagine non ha forma”: il paesaggio secondo la tradizione pittorica cinese
Mario Porro così riassume alcuni brani di nostro interesse del terzo capitolo “Di un paesaggio da vivere” tratti dal libro “Vivere di paesaggio”, di Francois Jullien:
“Un passo di Su Dongpo (XI secolo), uno dei primi pittori di paesaggio, esprime con chiarezza l’emancipazione dall’obbligo infantile della rassomiglianza: “gli uomini, animali, case, mobili hanno una forma costante. Invece montagne e rocce, bambù e alberi, increspature dell’acqua, nebbie e nubi non hanno una forma costante, ma hanno una natura interiore costante”.
Di questo secondo gruppo, composto da elementi che hanno natura interiore (ma non forma) costante, mi ha colpito l’ordine in cui essi sono elencati: dalle montagne, nella loro variazione di grana e di vegetazione (le rocce, i bambù, gli alberi) alle acque nelle loro manifestazioni in mutazione (le onde, i vapori, le nuvole). In sintesi, dalle montagne alle nuvole… dove le montagne, in Cina prima e in Giappone successivamente, sono considerate “le radici delle nuvole“. Possiedo un suiseki con questo nome poetico… ma questo è un altro post.
“Le rocce non hanno più forma imposta di quanto non ne abbiano le nuvole: una roccia o una nuvola ha qualsiasi forma e quello che il pittore dipinge è ciò grazie a cui la roccia o la nuvola raggiunge la coerenza interna, ciò che la promuove in roccia o in nuvola. Ora, le montagne e le acque non conoscono forma imposta, più di quanto non ne conoscano le rocce e le nuvole. Ma se ne seguiamo le curve e le svolte, i contorni sinuosi in trasformazione continua, allora vi vedremo l’espressione privilegiata di questa vitalità che non si esaurisce.”
Ecco il “paesaggio” cinese (shan shui 山水), che muove dall’accostamento montagna-acqua, mente il suiseki giapponese è 水石 (acqua e pietra). In entrambi i casi una cosa è messa in relazione al suo opposto, non per escludersi ma per affermare la dualità del mondo.
Continua Mario Porro con lucida sintesi:
“L’arte dell’Occidente ha seguito la “piega” ontologica della filosofia, ha cercato, attraverso la consistenza della forma visibile (morphé), di dare espressione alla forma intelligibile (eidos) che costituisce l’essenza dell’oggetto rappresentato. In Cina, non si cerca la rappresentazione, non vi è idea da cogliere; il pittore non è chiamato a riprodurre l’involucro esterno delle cose ma a esprimerne la coerenza interna (chang li), in cui si manifesta la regolazione del processo del mondo. L’alternanza delle fasi yin-yang scandisce il respiro che anima l’universo intero, grazie al soffio-energia (qi) che si rinnova di continuo nelle sue variazioni. Il paesaggio non è una parte ritagliata dal tutto, ma è già il tutto perché in esso è attiva l’operazione del mondo nella sua interezza.”
La forma del nostro suiseki, fatto di pietra e acqua, è diventata solo un veicolo, di uno spirito, o energia, o soffio vitale, o di un tutto.
“Lo sguardo si lascia assorbire, passeggia nel paesaggio, lo scopre da diverse angolazioni, non è attivato dagli stimoli ottici ma dalle forze che agiscono all’interno della natura.”
Molti anni fa mi sforzai di descrivere, quasi a tentoni, quello che per me era un suiseki: “… un buon suiseki non ha una forma spettacolare, ma mostra la presenza di una particolare atmosfera, è pieno di risonanze, vagamente richiama una immagine in esso. Non è sufficiente quindi che abbia una buona forma, ma dovrebbe emanare una visione, suggerire un respiro, un’atmosfera, un particolare stato d’animo, l’aria di qualcosa, dovrebbe essere incompleto e per questo richiederà un’attività partecipativa da parte dell’osservatore.”
E meglio di me Mario Porro, che ringrazio, giunge alle stesse conclusioni:
“Un paesaggio è come un archetto, diceva Stendhal, fa risuonare qualcosa nell’interiorità, non tanto un suono distinto quanto una vibrazione, una risonanza che fa ritrovare l’accordo, l’intesa di fondo fra l’io e il mondo. Nel respiro che anima il paesaggio, troviamo di che “nutrire la vita”.
Forse è per questo che fare suiseki mi fa star bene.
Riferimenti.
Ringrazio la prof. Susanna Marino docente di lingua e Istituzioni di Cultura giapponese presso l’Università Bicocca di Milano -Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione – e presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Varese
- Definizione di katachi 形 (forma, figura, foggia); (fattezze, forme, lineamenti)
形 la parte di sinistra indica una cornice squadrata (una sorta di graticcio, tipo finestra tradizionale) e i tre segni a destra sintetizzano l’idea di ‘disegno’, decorazione, pattern.
Frasi d’esempio: avere una forma strana, avere delle belle gambe; celebrare qualcosa senza formalità; sotto forma di qualcosa - Definizione di kata 型 (modello, stampo, forma, foggia); (dimensione, grandezza, formato); (tipo, modello, stile, forma)
型 tre sono le parti che compongono questo ideogramma: a sinistra una cornice squadrata, a destra una lama e sotto il terreno. Creare una cornice di terra (argilla), cioè creare uno ‘stampo, un modello’.
Frasi d’esempio: modellare la creta; persona che agisce contro le convenzioni; espressione stereotipata - Definizione di sugata 姿 (figura, forma, sagoma, profilo, contorno). Si usa sia per persona che per le cose (aspetto, apparenza, sembianze).
姿 la parte di sopra significa ‘seguente, successivo’, mentre la parte di sotto significa ‘donna’. Alcuni studiosi sostengono che la parte superiore dell’ideogramma sintetizzi una persona in piedi con la bocca aperta (riferendosi a qualcuno stupito da una bellezza muliebre). Per estensione, quindi, l’ideogramma indica una bella figura e più generalmente figura. Nell’ambito del suiseki, il termine sugata identifica una figura umana o deificata.
Frasi d’esempio: avere una bella figura, una bella linea, dipingere il ritratto di qualcuno; poveramente vestito; travestito da donna; profilo armonioso del Monte Fuji.
Curiosità.
La The International Society for the Interdisciplinary Study of Symmetry dedica una pagina al concetto di katachi, nelle sue implicazioni più moderne. Esiste infatti una vivace comunità di ricercatori giapponesi, che studia le implicazioni tra forma, funzione e significato, al fine di ottimizzare ad esempio i dispositivi user-friendly, come le interfacce avanzate per computer, o nuove soluzioni di biologia molecolare. La “Katachi Society” fa suo proprio il temine katachi, composto di “kata” (modello) e “chi” (potere magico), a cui attribuisce in senso allargato il significato di “forma completa” o “forma che racconta una storia attraente“. Per questa associazione di ricercatori scientifici, la forma ha antiche radici culturali, che potrebbero essere spiegate più chiaramente attraverso due esempi: la cerimonia del tè, dove il maestro combina materiali, significati e stati d’animo al solo scopo di servire un buon tè, e i kanji, un sistema di scrittura dove il carattere, o meglio il logogramma, ha una forma fisica, un valore orale ed un valore semantico.
Molto interessante, l’anima delle cose, ogni pietra comunica se stessa , e ognuno di noi attraverso il proprio vissuto vede e percepisce ciò che la pietra può comunicare, non esiste una verità unica ma miriade di sfumature emozionali chela contemplazione del suiseki ci procura.
Salve Ettore, è vero, la pietra comunica ben oltre la forma: è giocare col tempo, nel tempo, con un altro tempo. Grazie del tuo contributo.