Storia di una pietra

(Pubblicato sul numero di Settembre 2009 del “Bonsai & Suiseki magazine”)


Inizio con una citazione, senza paura di essere perseguita, perché cito me stessa : “Ogni pietra ha tante storie : la sua storia geologica, a noi sconosciuta, la storia che l’ha portata fino a noi, la storia che la lega a noi e che la rende speciale ai nostri occhi, la storia che non vedremo mai.

Questa è la storia di una pietra, che prima di essere mia è stata di qualcun altro, e che prima ancora è stata forgiata da forze non immaginabili, in tempi non concepibili dai nostri sensi.

Prima di me


Come fare a descrivere processi e tempi che la nostra mente, abituata a ragionare in termini di tempi biologici, quasi si smarrisce ?

Dalla formazione della terra dalla nebulosa primordiale, passando per fenomeni drammatici come glaciazioni, eruzioni, innalzamenti ed abbassamenti della crosta terrestre, derive delle zolle terrestri, pressioni, sedimentazioni ed erosioni, ogni pietra è una capsula di tempo che illustra il progresso di un drammatico viaggio che dura da centinaia di milioni di anni.

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Comunque sia andata, questa pietra era lì da sempre, sul greto di un fiume giapponese, quando un uomo, ultimo arrivato sulla Terra, nonostante l’arroganza e la presunzione con cui in genere guarda alla Natura ed alle sue opere, ne colse la presenza e la bellezza.

Comunque sia andata, questa pietra dal greto di un fiume giapponese giunse nella casa di un uomo giapponese, che apprezzava nelle pietre il gioco delle forme e dei colori, ma anche qualità più intime: ne vedeva i sottili segni delle loro trasformazioni, la resistenza, la perseveranza, la pazienza con cui si erano opposte alle forze che le avevano plasmate, fino a farne un accumulo “vivente” di tempi e vicende.

Ogni ferita imposta dalla Natura gli ricordava che le pietre, nonostante la loro consistenza ed apparente solidità, non sono affatto immutabili ma piuttosto destinate a modificarsi e trasformarsi.

Anche per le pietre, quindi, come per l’uomo, essere impermanente, il ciclo della vita ha imposto un eterno cambiamento.

Anche per l’uomo, quindi, come per le pietre, è possibile accettare e sopravvivere alle pressioni della vita che lo plasmano.

Questo uomo decise quindi di perdurare insieme alle sue pietre : quando seppe di essere gravemente malato, nel timore che nessuno dopo di lui le comprendesse fino in fondo, dispose che le sue pietre continuassero a vivere in altre case, in altri continenti, apprezzate da altri occhi. Egli si “fece montagna”.

Insieme a me


Dal fiume Ishikari, in Hokkaido, dalla collezione di un giapponese che praticava l’arte del suiseki, è giunta fino a me questa pietra sottile, caratterizzata da una superficie ondulata che varia tra il liscio ceroso ed il granulare, dalla linea semplice ed essenziale.

In base al suo luogo di origine, è una Kamui Kotan. In base alla sua forma, è una Shimagata ishi, cioè una pietra isola.

In lingua Ainu, Kamui Kotan significa “luogo dove vivono gli dei” ed è una valle in cui scorre un tratto del fiume Ishikari, dove si possono trovare pietre dal nero intenso fino al verde scuro.

Per me, è stata subito la “pietra frittella”, e con questo nomignolo l’ho presentata al popolo del Forum, per un consiglio sul tavolo da esposizione più adatto per delle linee così essenziali. Ma non avrei disdegnato l’esposizione in un suiban, in qual caso il discorso sul tavolino andava riveduto e corretto in funzione delle dimensioni del vassoio.

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Ovviamente il termine pietra frittella non voleva essere il nome poetico della pietra: anzi, avendola sott’occhio tutti i giorni, accarezzandola ogni tanto per apprezzarne la superficie setosa, guardandola con i diversi tagli di luce che il giorno e la stagione possono offrire, mi chiedevo sempre più spesso : ‘Un’isola, sì, ma quale?’. Fermarsi e pensare, guardare dentro se stessi mentre con gli occhi si vede una pietra, permettere che momenti vissuti, suggestioni, poesie, musiche emergano da quello spazio dell’anima dove si sedimentano le emozioni.

Dimora di esseri mitologici, cannibali e antropologi felici, nascondiglio dei tesori dei pirati, i naufraghi vi lanciano le loro richieste di aiuto in bottiglia, le nazioni le loro bombe atomiche, e adesso corrono il rischio di essere sommerse dall’innalzamento delle acque.

Perduta, del giorno dopo, che non c’è, l’isola infatti è per sua natura non facilmente raggiungibile, sfuggente, inafferrabile, ma anche il luogo dove rifugiarsi abbandonando il caos moderno.

Dice Shakespeare : l’isola è fatta della stessa materia dei nostri sogni, è un luogo fisico ma anche e soprattutto immaginario, dove c’è spazio per i miraggi, l’amore, le avventure, le leggende e … i reality shows.

Terra del mito del Buon Selvaggio, di Peter Pan, di Nausicaa, è la terra del regno di Utopia, l’isola di Tommaso Moro, luogo inesistente (dal greco ou-topia), meta di chi cerca il significato ultimo e mai trovato della vita, ma anche luogo felice (dal greco eu-topia), e chi sceglie di navigare verso quest’isola sta cercando qualcosa di molto simile alla felicità.

Dunque, un luogo felice inesistente: ma esistono forse luoghi felici ed esistenti ? Certamente no, eppure vanno cercati, perché sono l’emblema stesso della ricerca umana, interiore e non, itinerario di fuga dalla vita quotidiana verso una diversa dimensione dell’essere, metafora del cammino umano alla ricerca della Verità Assoluta come dell’Amore Eterno, del senso e della mancanza di senso della vita.

Troppo per una pietra?


Ma bella più di tutte è l’isola non trovata,
quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino,
il Re del Portogallo, con firma suggellata
e bulla del pontefice in gotico latino.

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Il Re di Spagna fece vela cercando l’isola incantata
però quell’isola non c’era e mai nessuno l’ha trovata.
Svanì di prua dalla galea come un’idea;
come una splendida utopia è andata via
e non tornerà mai più.

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Le antiche carte dei corsari portano un segno misterioso,
ne parlan piano i marinai con un timor superstizioso.
Nessuno sa se c’è davvero od è un pensiero;
se a volte il vento ne ha il profumo.
È come il fumo che non prendi mai.
Appare a volte avvolta di foschia magica, e bella,
ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via
tingendosi d’azzurro color di lontananza.

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In questa canzone del 1971 di Francesco Guccini, a sua volta ispirata da una poesia di Guido Gozzano ‘La più bella’, trovo splendidamente condensate queste mie divagazioni : ecco quindi battezzata la pietra frittella, che nelle esposizioni avrà come nome poetico ‘L’isola non trovata’.

Insieme a voi: storia pubblica di un suiseki


Quando scelgo una pietra, ne faccio oggetto di cura, osservazione e valutazione e la carico di significati che, partendo dalla sua natura geologica mai disconosciuta, si fanno anche culturali, spirituali e simbolici.

Per me l’esposizione di un suiseki è la condivisione con altri di questo processo, è l’ulteriore valorizzazione di una pietra tramite la condivisione con gli osservatori di un microcosmo racchiuso nello spazio finito di un tokonoma e nello spazio infinito delle emozioni : proposito impegnativo e forse irraggiungibile, di sicuro ambizioso, ma altrettanto stimolante.

Come oggetti di accompagnamento ho scelto uno kakejiku giapponese denominato “Wave” ed un piccolo granchio in bronzo poggiato su ceramica.

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L’onda corre verso la sottile striscia di terra emersa e sembra sommergerla, quindi nel complesso un immagine lontanissima da ogni realismo naturalistico. Ma più che la fedeltà al reale ho ricercato la fedeltà al senso profondo, ma visibile, del reale.

Nell’insieme, il dipinto sembra preponderante rispetto alla pietra, nonostante l’esposizione nel suiban richiami l’immensità dell’oceano.

Dopo di me


Questa parte della storia è ancora da scrivere e non sarò io a farlo, ma posso provare ad immaginarla in un gioco di fantasia.

Forse mio figlio chiuderà la pietra frittella in un cassetto.

Forse mio figlio, giunto alla maturità, continuerà con la pietra “L’isola non trovata” il gioco dell’apprezzamento e della coltivazione.

Forse mio figlio la venderà.

Forse, per non correre rischi, io stessa, come il suo precedente proprietario, me ne separerò a tempo debito e mi farò montagna.


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