Articolo di Martin Pauli
Seconda parte : La Natura quale dimensione etica e morale
Traduzione di Fabio G. Pasquarella
Elementi alla base della visione giapponese della natura
Vi sono tre elementi principali nella visione giapponese del mondo naturale.
Il primo riguarda i cambiamenti che avvengono attraverso i passaggi stagionali, nel ciclo ripetitivo e ordinato dei suoi flussi.
Il secondo elemento riguarda le forze invisibili che agiscono sulla natura, creando la forma di un albero, di una montagna o di una pietra.
Il terzo elemento è l’energia che crea la vita, con le sue molteplici espressioni.
Insieme, questi tre elementi esercitano i loro vari effetti sul mondo fisico, a volte in modi chiaramente manifesti e a volte in modi non visibili all’occhio.
Nella visione nipponica, questi eventi si verificano tutti a causa dell’esistenza di un misterioso potere spirituale. In altre parole, i giapponesi vedono la natura come parte di un regno cosmico totale.
Ciò diverge nettamente dalla visione della natura che abbiamo in Occidente. Il punto di vista giapponese si può in un certo senso riferire all’antica parola musubi, letteralmente “spirito generoso“, che implica che la vita sia generata spontaneamente: nascere con lo spirito.
La moderna visione occidentale vede la natura inquadrata in parametri oggettivi, nel suo aspetto passivo, frutto di un’evoluzione spiegabile attraverso la statistica.
In Occidente, la fede nell’esistenza di una forza sacra e vivificante in tutti gli oggetti viene chiamata animismo. Ma c’è una differenza tra l’animismo occidentale e la visione giapponese della natura. Secondo l’animismo, ogni cosa, che sia una roccia, un albero o l’acqua, è sede di un proprio spirito peculiare, che lo rende ciò che è. Nella visione giapponese, alla radice di queste miriadi di manifestazioni esiste invece un’entità soggiacente, sacra e invisibile, l’unica forza che dà vita. Questo è il motivo per cui i giapponesi credono che la natura sia in stretto rapporto con il sacro, una visione in qualche modo simile all’animismo, ma non precisamente sovrapponibile.
La parola giapponese moderna per natura è shizen. Si tratta di un’attribuzione relativamente recente, risalente solo al periodo Meiji (1868-1912). La sua adozione come traduzione della parola latina natura, fu proposta per la prima volta da Amane Nishi (1829-1897), un importante filosofo di quel tempo. Prima di allora, la visione giapponese della natura era espressa dalla parola zôka, composta da due caratteri che significano “creazione” e “cambiamento”. La fusione tra questa prima connotazione di creazione e cambiamento, e la nozione giapponese di natura, indica la relazione inseparabile tra questi due concetti nella visione giapponese.
Matsuo Bashô (1644-1694), uno dei più noti sostenitori della visione nipponica della natura, ha affermato che lo stretto rapporto con zôka è il filo conduttore che lega tutti i pensatori e artisti più famosi del Giappone nel corso della storia.
Trascendere la conoscenza umana
Una delle critiche più comuni all’arte giapponese è che ha un carattere meramente decorativo o “artistico”. Visto però il concetto che ne è alla base, l’arte giapponese in verità ha una profondità che trascende molte delle convenzioni associate all’arte moderna.
I giapponesi non vedono l’arte solo come un messaggio da trasmettere da un essere umano all’altro. Né credono che l’arte abbia valore perché del tutto “umana” per carattere o origine. Nel campo della ceramica, ad esempio, sono stati molto apprezzati preziosi utensili di uso quotidiano realizzati da ignoti artigiani, e opere di forma imperfetta o irregolare, a volte anche rovinate.
I giapponesi non solo ammirano le opere d’arte geometricamente perfette, come il celadon cinese o le porcellane bianche, ma spesso mostrano un forte trasporto per la bellezza che appare imperfetta. Questo amore per l’imperfetto deriva dal riconoscimento dei limiti intrinseci delle capacità creative umane. Non importa quanto duramente ci si possa provare, alla fine siamo incapaci di creare qualcosa che sia assolutamente perfetto. La perfezione, al contrario, è il prodotto dei poteri creativi della natura, zôka.
Il pezzo di ceramica che emerge dalla fornace è il prodotto finale di una spontaneità che è al di là della capacità di controllo umano. Perciò la ceramica è concepita come una manifestazione del grande e misterioso potere della natura.
Un altro esempio è l’ikebana, l’arte giapponese della composizione floreale. Anche in Occidente l’esposizione dei fiori è ricorrente, sia in contesti pubblici che privati.
Ma a differenza dell’Occidente, dove sono generalmente visti come accessori per interni, nell’ikebana l’intento è disporre i fiori in modo tale da mostrarli nella loro cornice naturale, e non come fiori recisi.
Il luogo principale per esporre una composizione ikebana è il tokonoma, in una stanza in stile giapponese tappezzata di tatami. Il tokonoma non è considerato come parte dello spazio interno, ma come un luogo sacro. Anche un singolo fiore funge da simbolo della verità universale, fornendo il mezzo attraverso il quale gli esseri umani possono diventare un tutt’uno con la natura.
Per questo motivo, una composizione ikebana, in particolare se creata per la cerimonia del tè, viene solitamente mantenuta semplice. Piuttosto che un fiore al culmine della sua fioritura, un fiore ancora in boccio è il benvenuto, perché mostra tanto più vividamente e chiaramente il processo della vita che si sta svolgendo. Infatti, si dice che niente è più magnifico di una composizione ikebana che, una volta meticolosamente sistemata, si disponga spontaneamente durante la notte in un proprio assetto, confermando l’ordine intrinseco della natura. I giapponesi vedono in questo modo anche un solo fiore, nel contesto più ampio del suo rapporto con la natura, come parte della totalità del mondo.
L’arte non è un ornamento decorativo, ma parte integrante della vita quotidiana, e la sua funzione intima è di trasportarci in un’unione profonda e armoniosa con la natura. E ancora, l’opera d’arte celebrata non è un oggetto che ha raggiunto la bellezza perfetta. Per essere veramente eccezionale, un’opera deve servire come mezzo per purificare moralmente ed elevare l’osservatore.
Questa nozione può forse essere meglio compresa attraverso esempi specifici, anche se forse atipici, dell’arte giapponese descritti di seguito.
La via dell’arte come forza morale
Il Giappone, ovviamente, non è privo di numerosi geni artistici e abili artigiani. In tutti i settori delle arti tradizionali, non è infrequente che una persona comune partecipi alla realizzazione e al godimento delle iniziative artistiche.
Quasi mille anni fa, nel ‘Racconto di Genji‘ Genji stesso è ritratto non proprio come uno dei principali statisti di questi tempi, ma piuttosto come un abile poeta e pittore.
All’interno dei circoli della corte imperiale, la capacità di comporre versi poetici era considerata la risorsa più alta di un funzionario. Questa visione derivava dal potere che si riteneva che la poesia avesse di armonizzare le relazioni umane, e di infondere armonia, bellezza e arguzia morale in ogni ambito umano.
Una situazione corrispondente esiste anche nella cerimonia del tè. Sebbene ci siano i maestri (iemoto) delle varie scuole di quest’arte, la cerimonia del tè continua ad essere praticata e goduta da persone di ogni ceto sociale. L’ikebana, allo stesso modo, non è limitato a un’elite, ma è parte usuale della quotidianità. Allo stesso modo il teatro Noh e il Kabuki, e altre relative forme d’arte.
Anche la calligrafia, pratica fondamentale della vita ordinaria, è stata elevata a uno status che si avvicina, e a volte addirittura trascende, quello di un dipinto. In certi contesti religiosi, molti credevano addirittura che la calligrafia stessa fosse intrisa di potere spirituale. Durante la metà del diciannovesimo secolo, era pratica comune per i bambini prendere lezioni di calligrafia come adempimento artistico e pratico indispensabile.
Queste attività e anche le cosiddette arti marziali come il kendô, lo judô e così via, contengono tipicamente il suffisso dô. Il termine è normalmente tradotto in inglese come “via” e in effetti implica un codice di comportamento che segue le leggi della natura, che i giapponesi vedono come il modo di vivere moralmente onesto.
Il suffisso dô ha le sue origini in Cina e corrisponde alla parola cinese Dao. I giapponesi ne hanno trasformato i principi base in termini concreti, che servivano come modello di un vivere pratico ed etico, in conformità con la legge della natura. Si potrebbe anche menzionare il fatto che il buddhismo fu accettato similmente in Giappone, dove fiorì come via, appunto come modo di vivere, il modo di Buddha.
I giapponesi, concludendo, considerano la natura come la verità fondamentale dell’universo, e credono che l’umanità sia in grado di vivere in armonia con essa proprio perseguendo e mantenendo le varie “vie” sopra descritte. Queste nozioni continuano a vivere nel cuore dei giapponesi ancora oggi.
( Fine seconda parte )
Credits.
Shakkei Group ringrazia Martin Pauli, che ci ha dato il suo consenso a pubblicare il suo studio approfondito sulle correlazioni tra suiseki e la particolare, se non unica, visione della Natura in Giappone, nella versione completa tradotta in italiano. Per una migliore fruibilità, il testo è stato suddiviso in quattro parti, nel rispetto del piano dell’opera.
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