Il Suiseki e la visione unica della natura in Giappone

by | Set 4, 2022 | Suiseki | 2 comments

Il Suiseki e la visione unica della natura in Giappone

Articolo di Martin Pauli
Prima parte : La Natura quale soggetto predominante dell’arte
Traduzione di Fabio G. Pasquarella


Note dell’autore

L’eccezionale qualità ed estetica nell’arte e nell’artigianato giapponese, basata su una visione unica della natura, e in particolare l’arte dell’apprezzamento della pietra suiseki, è sempre stata la mia profonda passione. Sebbene abbia studiato e imparato assiduamente, le mie conoscenze sono ancora a un livello insoddisfacente. Tutto quello che so oggi, l’ho appreso da noti esperti in Giappone, dalla consultazione e dall’analisi di immagini in cataloghi e libri, dallo studio di pietre in collezioni private e mostre, e naturalmente dalla letteratura specifica.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato a capire meglio. Tra loro i più importanti sono Arishige Matsuura, allora presidente della Nippon Suiseki Kyôkai, persona dal gusto estremamente raffinato, il quale mi ha ritenuto un autentico conoscitore del suiseki e dell’arte giapponese. Inoltre Seiji Morimae, che ho incontrato per la prima volta una decina di anni fa nella splendida casa di Chikufuen, dove, lavorando a quei tempi come studente, mi mostrò la collezione del suo maestro mentre quest’ultimo era assente.

Ho anche ricevuto profondi insegnamenti da importanti pubblicazioni come “Zen no Kenkyû” di Kitaro Nishida, il fondatore della filosofia giapponese moderna, “Die Philosophie Japans” di Peter Pförtner e Jens Heise, “Die japanische Philosophie”, a cura di Inoue Tetsujiro, in “Die Kultur der Gegenwart”, “A History of the Development of Japanese Thought” di Nakamura Hajime, i racconti di Lafcadio Hearns, di Curd Glauser nei suoi libri “Die Kunst Ostasiens”, “L’arte dell’asia Orientale”, il meraviglioso libro di Izutsu e Toshihiko “The theory of beauty in the classical aesthetics of Japan“, e molti altri.

Per me particolarmente degne di nota sono tuttora le notevoli pubblicazioni a cura del professore Isamu Kurita:

  • Ippen shônin: “Tabi no shisaku-sha” (“Il monaco viandante poeta”);
  • Asuka-Yamato: “Bi no junrei” (“Asuka-Yamato: un pellegrinaggio nella bellezza”);
  • Setsugekka no kokoro” (“Un cuore di neve, luna, e fiori”);
  • Dôgen no yomikata” (“Come leggere le opere del monaco Dôgen”);
  • Nihon no Kokoro” (“Mente giapponese”)

e, ultimo, ma non da ultimo, il suo geniale saggio: “Setsugekka” su cui si basa il seguente elaborato sulla visione della natura.

Martin Pauli


Prefazione

Tendiamo sempre a confonderci sulle cose, che non capiamo. Se vogliamo davvero comprendere le arti giapponesi, non importa se si tratta di bonsai, suiseki, ikebana o kendo, judo o karate, non dobbiamo solo prestare attenzione alla specifica arte che ci interessa.
Dobbiamo studiare la storia, la cultura e la filosofia giapponesi.
Solo così facendo, a un certo punto inizieremo a capire, e molte cose che prima ci erano oscure diventeranno semplicemente chiare e comprensibili.

Nakamura Yûjirô ci mostra, nel suo saggio “Nihon no shisôkai” – “Il mondo intellettuale del Giappone” -, che i giapponesi pongono particolare enfasi sugli eventi concreti, sensibili e intuitivi, piuttosto che su concetti astratti e universali. Questo modo di pensare si basa sull’osservazione del carattere fluido e mutevole degli avvenimenti. La teoria, comunemente nota tra i filosofi post-Meiji del secolo scorso, secondo cui il fenomenico è l’autentico reale, ha una radice profonda nella tradizione giapponese.

“I Giapponesi hanno anche riti e cerimonie così diversi da quelli di tutte le altre nazioni, che sembra che cerchino deliberatamente di essere diversi da qualsiasi altro popolo. Le cose che fanno a questo riguardo sono al di là di ogni immaginazione, e si può veramente dire che il Giappone è un mondo fatto al contrario dell’Europa; tutto è così diverso e opposto che non hanno praticamente niente in comune con noi. Così grande è la differenza nel loro cibo, vestiti, senso dell’onore, cerimonie, lingua, gestione della casa, nel loro modo di negoziare, sedere, costruire, curare i feriti e gli ammalati, insegnare e allevare i bambini e in qualsiasi altra cosa, che non può essere né descritta, né compresa.
Ora tutto questo non sarebbe sorprendente se fossero dei barbari, ma quello che mi stupisce è che si comportano come persone molto accorte e acculturate in questi aspetti. Vedere come tutto sia il contrario dell’Europa, nonostante le loro cerimonie e i loro costumi siano così colti e fondati su criteri ragionati, sorprende non poco chi vi si accosta. E ciò che stupisce ancor di più, è che siano piuttosto diversi da noi, forse perfino contrari a noi, per ciò che riguarda le modalità percettive degli eventi naturali, e in particolare nella loro visione della natura”…

…”non è meno sorprendente vedere l’importanza che attribuiscono a cose che considerano tesori in Giappone, anche se a noi queste cose sembrano banali. Si prenda il caso della ciotola di terracotta da cui si beve il “cha” (tè). Il re del Bungo una volta mi mostrò una ciotola così piccola per la quale, in verità, non avremmo altro uso che metterla in una gabbia per uccelli come abbeveratoio; ciononostante lo pagò 9.000 tael (circa 14.000 ducati). Nonostante vengano prodotte migliaia di ciotole simili, i giapponesi possono immediatamente individuare questi oggetti di valore tra migliaia di altri, così come i gioiellieri europei possono distinguere tra pietre autentiche e false”…

(Alessandro Valignano 1539-1606)


Il ruolo della natura nell’arte giapponese: setsugekka

Per avvicinarsi alla concezione estetica nell’arte giapponese, non si può prescindere dallo studio del setsugekka. Si tratta di un soggetto pittorico/letterario, spesso presentato come trittico, in cui vengono rappresentati la neve invernale, la luna autunnale e i fiori di ciliegio primaverili.

Sakai Hōitsu (1761–1828)
Neve luna fiori

Si pensa che i soggetti provengano da un’opera del poeta cinese Bo Chui (772-846; Jp: Haku Kyoi o Haku Rakuten), contenente il verso:

Setsugekka no toki mottomo kimi wo omou

Quando vedo la neve, la luna o i fiori, penso sempre a te.

Il tema è stato anche elaborato nella poesia waka giapponese e in seguito è apparso nella poesia renga del XV secolo.

Il primo uso conosciuto nella letteratura giapponese si trova nell’opera “Note del guanciale” (makura no sôshi; ca.1000) di Sei Shônagon. Il soggetto non rappresenta solo i cambiamenti stagionali, ma contiene anche varie allusioni letterarie. In pittura, il tema veniva spesso combinato con le vedute di luoghi famosi (meisho-e). Ad esempio, la neve invernale poteva apparire in cima a una rappresentazione del Monte Fuji, la luna in una scena di fogliame autunnale lungo le rive del Tatsutagawa, e i fiori di ciliegio in una veduta del Monte Yoshino.
Setsugekka era sì un soggetto popolare nello stile pittorico giapponese yamato-e, ma era anche diffuso tra gli artisti rinpa (una delle maggiori scuole storiche della pittura giapponese). Tema d’altra parte usato nell’arte della stampa artistica ukiyo-e come parodia (mitate-e), sia nelle immagini di bellezze femminili (bijin-ga), che incluso in scene di paesaggi (fûkeiga).


La visione unica della natura in Giappone

Gli artisti giapponesi si sono dedicati ai soggetti naturali molto più frequentemente degli occidentali, che invece si focalizzavano particolarmente sulla figura umana. Persino l’antica arte buddhista riguardante la rappresentazione di temi umani, si preoccupava soprattutto di esprimere la verità della legge di Buddha. Le immagini buddhiste in effetti simboleggiavano, in forma iconografica, una visione universale che stabiliva la relazione dell’umano con la natura.

Successivamente, l’arte si espanse oltre il dominio della religione, evolvendosi prima attraverso la corte imperiale del periodo Heian (794-1185), poi nelle fasi più austere dell’ascesa dei samurai, nei periodi Kamakura (1185-1333), Muromachi (1333-1568) e Momoyama (1568-1600), sfociando infine nell’estetismo moderno del periodo Edo (1600-1868). Attraverso ogni epoca, nonostante i numerosi cambiamenti nei modi espressivi, persiste un filo artistico comune: un profondo interesse per lo scenario naturale e il paesaggio.

In sintesi, sembra che per i giapponesi la rappresentazione della natura per la sua bellezza simbolica, l’armoniosa interdipendenza delle cose, il suo ordine intrinseco, e il suo potere evocativo, debba essere il soggetto predominante dell’arte.

Nell’arte occidentale, al contrario, la natura era dapprima principalmente uno sfondo per la rappresentazione di figure e narrazioni cristiane. Poi, attraverso il Rinascimento e fino ai tempi moderni, la ritrattistica e la pittura di figura tendevano a dominare i temi artistici. La natura diventerà un tema di primo piano solo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, e fu solo nel XIX secolo che iniziarono ad apparire dipinti di persone al lavoro, in preghiera o in contemplazione in un contesto naturale.

I non giapponesi spesso dicono di trovare il pensiero dei giapponesi difficile da comprendere. Le regole che definiscono le norme per i giapponesi sono invece semplicemente diverse. E per quanto detto alla base delle loro linee guida ci sono alcuni principi fondamentali: la natura è bella, la natura è armoniosa, ha un ordine e delle regole intrinseche, e in un certo senso può essere vista come ispiratrice di una dimensione etica o morale.

Queste idee sono modellate dalla convinzione che l’umanità coesista nell’ordine della natura. Laddove i giapponesi forse differiscono dagli altri popoli che condividono queste stesse opinioni, è nella loro apparente incapacità di definire le leggi della natura in termini chiari e oggettivi.

Il Giappone ha continuato a credere in antichi retaggi spirituali per molto tempo, elementi che di fatto caratterizzavano l’antichità. Si potrebbe concepire l’unicità giapponese proprio come eredità di aspetti fondamentali più antichi che hanno caratterizzato il comportamento dell’intera umanità sin dai tempi più remoti.

Tra i termini usati dai giapponesi per definire la loro sensibilità, c’è “mono no aware” (il pathos delle cose).

Il termine suggerisce le norme che si ritiene debbano governare il comportamento giapponese, basandosi su una profonda affinità con la natura e la bellezza, e incoraggiando una risposta emotiva spontanea nei suoi confronti.

Il termine è usato anche in senso più ampio per descrivere una corrispondente affinità emotiva tra l’umanità e le altre creature dell’universo naturale, o l’amore che esiste tra un uomo e una donna. Esprime inoltre la capacità di essere profondamente commossi, ideale estetico associato alla letteratura del periodo Heian e ai valori aristocratici. Una risposta empatica all’effimero dell’esistenza, che di solito implica tristezza, sebbene siano possibili anche espressioni di gioia e stupore.

Il termine è una congiunzione di “aa” e “hare”, che insieme stavano a significare “Ah, che luna”, espressione apparsa per la prima volta nel “Man’yôshû”. Tuttavia raggiunse il suo apice di popolarità nel “Racconto di Genji “genji-e”, dove è usata 1.044 volte come sostantivo, verbo, o come frase aggettivale, (awarebu, awarenaru e awareto). Aware entrò inoltre a pieno titolo nel novero dei termini usati nei giudizi, hanshi, dei concorsi di poesia, utaawase, e appare anche nella critica del waka come in “Korai fûtaishô” di Fujiwara Shunzei (1114-1204) e successivamente nella teoria sul “Renga”, la poesia “a catena”. In questo uso di versi connessi tra loro, aware acquisiva una connotazione di elegante bellezza. Sebbene aware riguardi una risposta intima e personale ai fenomeni esterni, l’associazione del termine con la bellezza effimera ha avuto ripercussioni sull’arte Heian, aggiungendo uno strato di profondità all’espressione più superficiale “miyabi“, indicante eleganza e cortesia. La presenza del termine aware in letteratura, come nel racconto di Genji e nei racconti di Ise “Ise Monogatari-e”, ha dunque fornito soggetti per varie forme d’arte, compresa la pittura, estendendone così l’influenza ben oltre il periodo Heian. La frase mono no aware, il “pathos delle cose”, è stata usata da Motoori Norinaga (1730-1801) per distinguere l’uso Heian più ampio del termine, dall’uso intimo ed idiosincratico del periodo Edo.


Setsugekka: i tre elementi simbolici

Dal noto discorso dello scrittore Yasunari Kawabata (1899-1972) quando ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1968, possiamo desumere molto della visione nipponica della natura.

Dal titolo “Japan the beauty and Myself” , l’orazione si è concentrata su una disquisizione della frase setsugekka, che è linguisticamente composta, come visto, da: neve (setsu), luna (getsu) e fiori (ka).

L’espressione, tuttavia, racchiude più di una semplice terminologia descrittiva, e il fatto che questi tre elementi compaiano ripetutamente nella pittura e nelle arti ci dovrebbe far riflettere. La neve esprime la stagione invernale, la luna fornisce una presenza costante tutto l’anno nel cielo notturno, i fiori simboleggiano la miriade di piante e alberi in incessante transizione nel ciclo delle quattro stagioni.

L’osservatore scoprirà rapidamente che gli elementi rappresentati dal setsugekka non compaiono solo nell’opera d’arte giapponese, bensì anche in tutti i tipi di elementi di design della vita quotidiana, e persino nei cognomi dei giapponesi: di fatto fanno parte di quasi ogni aspetto della vita giapponese. Vediamone un approfondimento.

Fiori (ka)

I fiori, in particolare i fiori di ciliegio (sakura) e di pruno (ume), sono una caratteristica integrante della pittura giapponese. Ovunque appaiano, i fiori e le piante in generale sono solitamente raffigurati nel loro stato naturale e spontaneo.

In Giappone, fiori, erbe e alberi non sono visti solo come oggetti tangibili ma come simboli della vita stessa. Nei fiori percepiamo le leggi universali della natura, il suo ciclo infinito, della nascita, della morte e della rinascita. A prova di ciò, si considerino i numerosi festival ed eventi legati ai fiori che vengono celebrati ogni primavera in Giappone, fin dai tempi antichi.

La prima testimonianza letteraria sull’osservazione dei fiori di ciliegio appare nel racconto di Genji, l’apice della letteratura classica giapponese, scritto nel XII secolo. Un intero capitolo di quest’opera è dedicato alla descrizione di un fiore di ciliegio accompagnato da cibo, musica e poesia fino a tarda notte. È qui che Genji incontra per la prima volta il suo amore eterno, Oborozukiyo, la signora della nebbiosa notte di luna.

La visione dei fiori di ciliegio ha dunque un significato speciale in Giappone. Si dice che Yoshinoyama, Monte Yoshino, situato nel cuore storico di Nara, sia stato il primo centro di fede religiosa del paese. Ancora oggi l’intera montagna è ricoperta di ciliegi.

Una leggenda narra di Konohana Sakuyahime, figlia del dio dell’agricoltura, che a sua volta era considerata una divinità della primavera e dell’abbondanza. Secondo la credenza popolare, il suo spirito si impossessò di un albero di ciliegio, permettendole di discendere dal cielo sulla terra.
Nel corso dei secoli le persone si sono radunate sotto i ciliegi in fiore, credendo che fossero sacri, e offrendo le loro preghiere a Konohana Sakuyahime per auspicare un abbondante raccolto dell’anno. Altri festival includono offerte di fiori per proteggersi da malattie e disastri naturali.

Se i ciliegi in fiore sono stati da sempre un simbolo venerato della primavera, le foglie dai colori vivaci rappresentano invece l’autunno. Sin dai tempi antichi, le persone si radunano per ammirare il foliage autunnale. La predilezione giapponese per le escursioni, al fine di ammirare le foglie che si tingono di colori autunnali, è stata registrata dai portoghesi già nel XVI secolo.

Un paio di paraventi dipinti risalenti al periodo Muromachi ne forniscono le prime prove. Uno raffigura una scena di contemplazione dei fiori di ciliegio, l’altro un’escursione per andare ad osservare le foglie d’acero. Queste opere dimostrano la forte affinità che i giapponesi da tempo provano con i fiori di ciliegio e il vivido foliage autunnale. Ma qual è il profondo significato di queste attività?

Il repertorio del teatro Noh, apparso alla fine del XIV secolo, comprende un’opera sulla raccolta delle foglie autunnali. In particolare descrive un uomo coraggioso che trascorre una notte nel bosco sotto gli alberi decidui. All’improvviso appare una donna seducente che distrae il giovane.
Mentre i fiori di ciliegio della primavera rappresentano la nascita di una nuova vita, il foliage, come rivela questa canzone tratta dall’opera del Noh, simboleggia la fase finale di una fiamma, quella della vita, destinata con l’arrivo dell’inverno a spegnersi.
L’autunno è dunque anche un momento in cui l’impulso a una maggiore sensualità coincide con una intima consapevolezza della morte – insieme comunque alla promessa di rinascita nella primavera che verrà – all’interno del perpetuo ciclo dinamico della natura.

Insomma i giapponesi non considerano i fiori e le foglie autunnali come oggetti o graziose decorazioni, i fiori sono intrisi di connotazioni del grande flusso naturale, tra la vita e la morte.

Neve (setsu)

Kinkaku-ji – Kyoto
Tempio del Padiglione d’oro

La neve è un simbolo dell’inverno, uno strato bianco che ricopre tutto ciò che è visibile nelle altre stagioni. Allo stesso tempo, un mantello di neve, apparentemente privo di ogni forma, offre a ben guardare l’indizio di una nuova vita, sia che si tratti di un singolo fiore di pruno che si scorge germogliare, o di un minuscolo filo di giovane erba – presagi di una scena che presto cambierà davanti ai nostri occhi.

La neve è lo sfondo preferito dei drammi giapponesi, in particolare del teatro Noh e del Kabuki. Un paesaggio innevato aumenta la tensione della storia, attraverso il suo intrinseco e vivido contrasto tra un manto nevoso completamente bianco, che cela la vita esprimendo un algido mondo di morte, e la fedele rappresentazione della vita stessa, nell’atto del superamento della morte.

In sostanza i fiori e il foliage autunnale rivelano la forza vitale della natura, mentre la neve, simbolo del mondo invernale, rivela sì l’oscurità e la morte, ma anche un presagio della vita a venire.

Luna (getsu)

Nella cultura giapponese, la luna è più di un semplice corpo celeste. Sin dai tempi antichi i giapponesi hanno creduto che la luna fosse la dimora di una divinità.

Nel buddhismo è vista come un simbolo della verità della legge buddhista. Questa convinzione ha origine dal fatto che la luna rimane costantemente nel cielo: non importa quanto una persona possa muoversi, camminare da un posto all’altro, o persino viaggiare per il mondo. Si rivela ancora e ancora, in forma perfetta, ovunque. Come riflesso può apparire nell’acqua di uno stagno, o in una goccia d’acqua sul palmo della mano.

Ovviamente, i giapponesi non hanno concepito o ritratto la natura semplicemente nei termini in cui appare. Essi hanno considerato elementi naturali quali fiori, neve e luna, che ne simboleggiano in un certo senso la continuità ciclica, come potenzialità vitale, e verità universale e immutabile che governa tutte le cose, comprendendo di essere parte integrante di tutto questo.
In sostanza i giapponesi desiderano essere tutt’uno con la natura, e lavorano in tal senso attraverso la creazione di opere d’arte che divengono così una manifestazione di questo desiderio.

Quando un artista giapponese compone un dipinto di paesaggio, ciò che gli preme non è la descrizione fedele di una scena, quanto piuttosto il suggerimento di un’idea universale soggiacente alla composizione complessiva.

Perciò invece di riprodurre scene visive proprio come appaiono all’occhio, gli artisti giapponesi preferiscono creare scenografie in modo simbolico e stilizzato. Ci si aspetta per questo che l’arte giapponese sia piena di un significato profondo, filosoficamente, letteralmente e ideologicamente. Questa multidimensionalità è forse più riconoscibile nei dipinti a inchiostro e nei paesaggi.

Paesaggio (sansui)

La parola giapponese per paesaggio è sansui. Il termine è composto da due elementi: san (montagna) e sui (acqua). La maggior parte dei dipinti di paesaggi giapponesi include raffigurazioni di montagne e di acqua che scorre. In Giappone, le montagne sono state tradizionalmente considerate luoghi sacri, luoghi in cui dimorano gli spiriti, o verso cui scendono dal cielo. Idealmente, le montagne dovrebbero essere viste da lontano e adorate.

I fiumi, d’altra parte, sono stati considerati luoghi in cui i mortali possono lavare via le loro impurità spirituali, pulire le loro anime e diventare così più energici e vitali. Non c’è da stupirsi che molti santuari shintoisti in Giappone si affacciano su fiumi o torrenti.

Dopo che i visitatori si sono purificati nell’acqua del fiume, sono sufficientemente purificati per poter procedere con le adorazioni nel santuario.

Dato questo contesto, ancora una volta è da ribadire che i dipinti di paesaggi giapponesi, le raffigurazioni di montagne e acqua, e occasionalmente anche il sole o la luna, non rappresentano semplice scene riprese dalla natura, ricche di dettagli realistici. Piuttosto ci si rivolge a un livello più profondo, tentando di ritrarre la struttura universale e le verità naturali che stanno alla base di tale scenario.

( Fine prima parte )


Credits.

Shakkei Group ringrazia Martin Pauli, che ci ha dato il suo consenso a pubblicare il suo studio approfondito sulle correlazioni tra suiseki e la particolare, se non unica, visione della Natura in Giappone, nella versione completa tradotta in italiano. Per una migliore fruibilità, il testo è stato suddiviso in quattro parti, nel rispetto del piano dell’opera.


Martin Pauli

I am a collector and connoisseur of fine Swiss made time pieces and fine arts. My profession is to bring up and to manage a Swiss watch company, my passion is fine art, especially SUISEKI, the Japanese art of stone appreciation. It is my intention to spread as many information on true Japanese suiseki art as far as possible.

2 Comments

  1. Lorenzo

    Ho già avuto modo di leggere alcuni scritti di Martin Pauli, ricavando sempre la sensazione di un profondo conoscitore della cultura, storia, ed arte giapponese, e, questo articolo, lo ribadisce, tale è la profondità dei concetti trattati.

    Grazie, Daniela, che hai avuto la perspicacia di procurarti questo scritto e di averlo condiviso con i lettori di Shakkei.
    Ora attendo le prossime puntate.
    Lorenzo

    Reply
    • Daniela Schifano

      Grazie, Lorenzo, per l’attenzione con cui segui Shakkei. Abbiamo ritenuto importante proporre il testo di Martin Pauli in italiano, per una comprensione del suo testo nella nostra lingua.

      Reply

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